ROMA (NEV) – È uno dei momenti ecumenici più significativi dell’anno, insieme alla nuova Charta Oecumenica che sarà firmata a Roma il prossimo 5 novembre. Sempre più spesso le Chiese cristiane – cattoliche, ortodosse e protestanti – scelgono di camminare insieme, con iniziative comuni che consolidano un percorso dalle radici profonde. In questo orizzonte si colloca anche la VI Conferenza mondiale della Commissione “Fede e Costituzione” del Consiglio Ecumenico delle Chiese (CEC), in programma fino al 28 ottobre presso il Centro papale (del papa copto di Alessandria, ndR) Logos di Wadi El Natrun, in Egitto. L’incontro rappresenta l’evento centrale delle celebrazioni per i 1700 anni dal Concilio di Nicea, il primo concilio ecumenico della cristianità.
Come ha ricordato il CEC, la Conferenza si svolge attorno alla domanda che dà il titolo ai lavori: “Dove ora l’unità visibile?”. Il tema richiama la vocazione originaria del movimento ecumenico: tendere a una comunione più piena, anche laddove restano differenze dottrinali, liturgiche e disciplinari. Scrive il Consiglio ecumenico: «La Sesta Conferenza mondiale sarà il fulcro delle attività del CEC per celebrare il 1700° anniversario del Concilio di Nicea», e offrirà l’occasione per riflettere «sull’affermazione della fede nel Credo di Nicea e sulle implicazioni che ciò ha per la testimonianza e il servizio comuni delle Chiese». Il legame con l’Egitto non è solo simbolico: Alessandria ebbe un ruolo cruciale nei dibattiti che portarono al concilio del 325, e il deserto del Wadi El Natrun custodisce ancora oggi una delle memorie monastiche più antiche del cristianesimo, il Monastero di San Bishoy.
La Commissione “Fede e Costituzione”, nella sua essenza multilaterale unica nel suo genere, riunisce le principali tradizioni cristiane. Le sue radici risalgono al 1910. È incaricata di studiare le questioni dottrinali e di ministero nella prospettiva dell’unità. Dopo le Conferenze del 1927, 1937, 1963, 1971 e 1993, quella di Wadi El Natrun arriva a più di trent’anni dall’ultima tappa, a Santiago de Compostela. Come ha dichiarato il direttore della Commissione, Andrej Jeftić, la Conferenza rappresenta «una pietra miliare nel cammino verso l’unità della Chiesa».
La conferenza è un’opportunità per riunire i leader della chiesa e i teologi di diverse tradizioni, nonché per coinvolgere una nuova generazione di ecumenisti in un momento in cui il mondo affronta la catastrofe climatica, la minaccia di pandemie, guerra e preoccupazione economica – sfide che richiedono un nuovo impegno delle chiese tra loro su questioni fondamentali di fede e missione che uniscono e continuano a dividerle. Dobbiamo comunque rilevare che sia nel CEC che nella Commissione “Fede e Costituzione” si viene, nei fatti, cooptati. Rimangono fuori tanti milioni di cristiani, alcuni dei quali membri di Chiese cristiane che non hanno attitudine né interesse ecumenico, ma molti altri che sono parte di Chiese “politicamente sgradite” o considerate “fonte di scisma” e pertanto lasciate fuori dagli organismi ecumenici, che a volte nemmeno rispondono alla richieste. Forse è il caso che questi grandi “ecumenisti” ricomincino a considerare l’unità della Chiesa partendo dal basso e non solo dai simposi internazionali, evitando esclusioni politiche e personalistiche.

