Recensione: “Vita e morte di un poeta” di Nicola Bultrini

“Vita e morte di un poeta”, di Nicola Bultrini, Fazi Editore (Milano, 2025), pag. 143, euro 18.00.

Le giornaliere sfide all’esistenza contraddistinguono il poeta dall’uomo medio; il primo è inadatto a gestirle, mentre il secondo le utilizza in termine di formazione personale che deve condurre all’approvazione del resto dell’umanità; il poeta si muove nel terreno della sfida perché è l’essere titolato, davvero, alla provocazione e all’impegno: l’arte è l’unico vero assillo. E il tutto si riconduce, dall’amore alle altre logiche sentimentali, al rapporto con la creatività. Le parole sono immagini della verità.

Tutto ciò è ribadito  dall’ultimo libro di Nicola Bultrini, marchigiano – è nato a Civitanova – trapiantato a Roma, “Vita e morte di un poeta”, dedicato alla figura del poeta basilisco Beppe Salvia (Potenza, 1954 – Roma, 1985). Questo libro lo sto leggendo mentre piove la tristissima notizia della morte del poeta di Cesenatico erede di Moretti, Stefano Simoncelli. E fra persone più coinvolte emotivamente mi sembra proprio Claudio Damiani, del quale nei prossimi giorni scriverò per i suoi versi di “Rinascita”. E che di Salvia da Picerno, Lucania, fu grande amico. Quanto può essere grande, spaziosa una pagina di delirio vitale? “Quale giovane non è inquieto?”, si interroga davvero presto nel volume Bultrini. Prima per esempio di entrare con tutto il corpo e la testa nei ricordi dei luoghi, dopo essere stato nel passato delle persone: Sant’Agata dei Goti, per dire.

La partecipazione del poeta lucano a Castelporziano è quasi una buona scusa, poi, per citare nuovamente il più famoso festival italiano della poesia che si compì nel 1979. Col cammeo al mio adorato Corso. Avrei voluto conoscere personalmente, oltre a Gregorio Nunzio Corso, di sicuro Carlo Bordini; come di certo avrei conosciuto molto volentieri Salvia, il poeta che “si aggirava in maniera obliqua, con la sua solita andatura oscillante”. Righe bellissime e a tratti dolenti sono dedicate alla rapporto con Marina Pizzi, innamoratissima del poeta di Potenza e mezzo siciliano.

Come appare divertente la scena che vede Salvia giocare con la fama di Zanzotto e questi che scrive al contrario gesti d’elogio e apprezzamento ai versi contenuti nella raccolta “Cuore. Cieli celesti”. La definizione che per antonomasia contenuta nel libro è questa: “E allora, da un lato c’è il ragazzo che dondola sulle gambe, timido e goffo, da un altro c’è un indigeno tribale con l’istinto della fiera rispetto a tutto ciò che gli ruota intorno, curioso ma cauto, che annusa il pericolo, un animale che conosce il timore ancestrale dell’esistere e che si muove con circospezione, attento a selezionare gli obiettivi secondo il proprio valore”.

La casa di Gabriella Sica. Elisa Sansovino. La rivista “Prato Pagano”. Il gruppo: Beppe Salvia, Gabriella, Claudio Damiani, Arnaldo Colasanti, Gino Scartaghiande: stanno dando nuovo valore alla poesia. Con le braci del “fuoco della tradizione che non si spegne mai”. Fu la rivista “Braci” (da Abbacci e Braci). Ma la dichiarazione più rappresentativa è contenuta, non a caso, in uno scritto in prosa lirica di Salvia: “Noi proviamo in questa notte a scrivere della vita e della morte”, comincia il poeta. Che a un certo punto specifica: “(…) Noi moderni finiamo per perdere ogni passione, vivendo i giorni uno uguale all’altro, tra dimenticanze e disperazioni. Ma le passioni scritte interiormente sono tutte uguali. (…)”. Che bellezza i versi per Pascali, va gli artisti recentemente esposti al MamBo dell’ex Forno del Pane! Epperò giunse la depressione, sempre più potente, con le manie di persecuzione e l’abitudine malsana di procurarsi cicatrici sul corpo, tagliarsi, farsi di autolesionismo anche fisico oltre che di psicofarmaci. Bultrini è molto duro, specialmente verso la fine del racconto, con il suo amico Beppe; ma con tanto amore quando afferma che Salvia faceva spreco di sé. I capitoli finali del libro fanno un male atroce. Pungono mentre già soffro per non riuscire a superare un grande timore, e poter andare a salutare per l’ultima, che sarebbe stata purtroppo la prima, il Simoncelli. “Adesso ho il cuore nobile ma la mia carne era pietra”. Certo. Proprio così. Da anni per me che leggo e rileggo periodicamente i versi di Salvia sono sicuro che è stato proprio così. “La vita di Beppe era in bilico su un piano inclinato e vederlo dava pieno”, testimonia Bultrini. Ho avuto la fortuna qualche anno fa di avere in dono da Damiani delle copie introvabili di “Braci” e “Prato Pagano”. Con pure certi graffi in disegno di Beppe Salvia. Con tanta difficoltà e note di lacrime riesco a raggiungere l’ultimo capitolo del lavoro di Nicola Bultrini. Ché purtroppo sappiamo da cosa è segnato. “In basso, in fondo, c’era qualcosa, una figura in una posa strana, come premuta a terra. Era un corpo”. Piangere ancora è il minimo. Struggenti le ultime parole, dove al cimitero di Picerno Bultrini scopre che sulla tomba di Salvia è assente la fotografia, insieme al termine “poeta” che avrebbero dovuto almeno qui garantirgli.

Nunzio Festa

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