Cresciuto nell’ovile di Bergoglio, Robert Francis Prevost è il frutto più visibile di una linea ecclesiale che ha preso forma con papa Francesco. Statunitense di nascita e peruviano d’adozione, è un uomo capace di tenere insieme due emisferi, due lingue, due culture. Inglese e spagnolo scorrono entrambi con naturalezza nelle sue parole, e il suo profilo personale riflette quella miscela di radici nordamericane e spirito latinoamericano che ha caratterizzato anche l’episcopato di Francesco.

La sua formazione, però, ha avuto un passaggio decisivo a Roma, nella parrocchia vaticana di Sant’Anna, gestita dagli agostiniani. Qui, durante la prima celebrazione pubblica di papa Francesco il 13 marzo 2013, Prevost era presente in qualità di priore generale dell’Ordine di Sant’Agostino. I due si erano già incrociati anni prima in Argentina, ma fu in quella circostanza romana che il legame si consolidò. Prevost, che aveva trascorso molti anni in missione in Perù, si avviava allora a concludere un lungo e rispettato mandato alla guida dell’Ordine.

Il 3 novembre 2014 ricevette la nomina ad amministratore apostolico della diocesi peruviana di Chiclayo, per poi diventarne vescovo. Da lì in avanti, il suo percorso fu sempre più intrecciato con il cuore della Curia romana: nel gennaio 2023 divenne prefetto del Dicastero per i vescovi e presidente della Commissione per l’America Latina, oltre a ricevere il titolo di arcivescovo emerito di Chiclayo. Nel luglio fu annunciato come nuovo cardinale e creato tale nel concistoro del settembre successivo. Il 6 febbraio 2025, infine, è stato promosso all’ordine dei cardinali vescovi, con l’assegnazione della sede suburbicaria di Albano.

Alla luce di questi sviluppi, non sorprende che sia stato proprio lui ad essere eletto al soglio di Pietro da un conclave breve e risoluto. Più che un erede, Prevost appare come una continuità incarnata dello stile e della visione di Francesco. Ma si tratta davvero di una scelta lineare? Non è detto. Alcuni gesti, come l’invocazione mariana finale, la concessione dell’indulgenza e il riferimento alla Madonna di Pompei, sembrano restare all’interno di una tradizione più devota che ecumenica. Dopo tutto, il compito del pontefice è guidare la Chiesa cattolica, non presiedere un’assemblea interconfessionale.

Il nome scelto, Leone, parla anch’esso in modo eloquente. È impossibile non pensare a Leone XIII, il papa dell’enciclica Rerum Novarum, ancora oggi uno dei testi più significativi sul tema della giustizia sociale. Il suo richiamo alla dignità del lavoro e al diritto a un salario equo risuona con forza anche attualmente. Ma Leone XIII fu anche un uomo del suo tempo, e in certi casi conservatore: si oppose alla statua di Giordano Bruno a Roma e confermò il non expedit, con cui imponeva ai cattolici di non partecipare alla vita politica italiana. Un’eredità complessa, che difficilmente si rifletterà in modo diretto nel pontificato appena iniziato.

Davide Mancini

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